Sei arresti per due efferati omicidi di camorra

Scritto da il 27 marzo 2024

Riguardano due efferati delitti, uno avvenuto nel 2000, l’altro l’anno scorso, le misure cautelari eseguite dai carabinieri del comando provinciale di Napoli.

Le prime tre sono state notificate dai carabinieri del nucleo investigativo di Napoli e riguardano l’omicidio di un operaio di 26 anni, Giulio Giaccio, assassinato e sciolto nell’acido nel luglio di 23 anni fa: secondo quanto emerso dalle indagini si trattò di un errore di persona. La vittima venne prelevata assassinata e poi sciolta nell’acido dai sicari del clan Polverino e non si ebbe più notizia dei resti. Le misure cautelari sono state notificate oggi al termine di indagini coordinate dalla Dda ad altri tre componenti il commando che agì scambiando l’operaio estraneo alle logiche criminali del quartiere per colui che aveva approcciato la sorella di un affiliato al clan. I destinatari dei provvedimenti sono Salvatore Simioli, Raffaele D’Alterio e Salvatore De Cristofaro a cui si è giunti attraverso le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia. Altri tre killer – che al 26enne dissero che erano dei poliziotti – sono attualmente sotto processo per questo efferato omicidio.

Le altre tre misure cautelari invece riguardano l’omicidio di Pasquale Manna, assassinato circa un anno fa in un agguato nel quartiere Ponticelli di Napoli: anche qui si tratta di tre arresti emessi su richiesta della Dda e notificate dai carabinieri di Torre Annunziata. Manna che era in un distributore tentò disperatamente di fuggire in auto ma venne comunque ucciso dai sicari che entrarono in azione con il volto coperto da mascherine Ffp2. Era ritenuto il reggente del clan Veneruso-Rea di Casalnuovo (Napoli). Gli arresti riguardano Francesco Rea, Luigi Romano e Giorgio Bilangia.

L’omicidio del 26enne Giulio Giaccio, è stato spiegato nel corso della conferenza stampa in procura, risale a quasi 24 anni fa. Il giovane venne ucciso e sciolto nell’acido nel luglio del 2000. “Era la persona sbagliata”, hanno spiegato il generale Enrico Scandone, comandante provinciale dei carabinieri di Napoli e il comandante del Nucleo Investigativo Andrea Leo. Gli arresti di oggi riguardano i presunti killer: spacciandosi per poliziotti prelevarono la vittima con la scusa di un controllo per portarlo in una zona isolata dove venne ucciso con un colpo alla testa e poi sciolto nell’acido. “I resti – ha sottolineato il procuratore Nicola Gratteri – vennero buttati nella fessura di un terreno che si trova vicino alla casa di uno degli indagati”. Il comandante Leo ha messo in evidenza “la cattiveria e la sfrontatezza” manifestata dagli arrestati nei confronti di una persona “che non c’entrava niente con quella che cercavano”. Grazie ai riscontri delle dichiarazioni dei pentiti, è stato infatti riostruito che il commando del clan Polverino cercava un certo Salvatore, colpevole di avere intrattenuto una relazione con la figlia di un elemento di spicco dell’organizzazione malavitosa di Marano di Napoli. Giaccio più volte ha cercato di spiegare che lui non era quel Salvatore. Ma non venne creduto. I sicari gli fecero mettere la testa tra le gambe prima di sparagli un colpo alla nuca.

Il secondo caso riguarda l’omicidio di Pasquale Manna, avvenuto lo scorso marzo e maturato nell’ambito di una scissione interna al clan Rea-Veneruso. Di questa vicenda ha parlato invece il colonello dei carabinieri Pantaleo Grimaldi: “A sparare fu Francesco Rea (anche lui elemento di spicco come Manna, ma con quest’ultimo in contrasto – ndr). L’agguato scattò in un distributore di carburante a Volla, ma a Rea gli sfuggì la pistola. Questo diede a Manna la possibilità di scappare. Fu però inseguito e raggiunto nel quartiere Ponticelli, dove venne trucidato. Grazie alle immagini dei sistemi di video sorveglianza e ai rilievi antropometrici e somatici dei Ris è stato possibile invividuare come possibile autore Rea”. L’esame dello stube ha rilevato la presenza di polvere da sparo sugli indumenti che si accingeva a bruciare, tra cui i guanti, che aveva coperto anche con una busta di plastica per impedire che gli spari lasciassero tracce. “Anche questa volta – ha sottolineato il procuratore di Napoli – la tecnologia si è rilevata importante, come importante e rilevante è stato l’esame dello stube che ha riscontrato la presenza di bario antimonio e piombo su indumenti. Lo studio delle immagini delle telecamere, ma anche l’altezza della persona, la sua camminata, e altri elementi hanno consentito una comparazione con persone con stessa altezza ed età, fino a una sovrapposizione, quasi come avviene con una comparazione tra impronte digitali”.


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